La grande festa de O’ PUCCIO
Nel 1833, lo storico del Folclore e delle Tradizioni Popolari Gaetano Gigliotti scriveva il suo elogio storico del Carnevale con il funerale del Re delle Maschere organizzato in quell’anno dalla società dei beoni.
Lo scritto ottocentesco riporta un’attività che coincide con quella che oggi è il Rogo del O’ Puccio che chiude il carnevale locale.
Oltre alla festa di Sant’Antonio Abate è stato introdotto un altro elemento che è diventato tradizione: il trasporto in piazza Matteotti del Re Carnevale meglio conosciuto con il nome di O’ Puccio, che nel dialetto civitonico indica la persona immobile che è ferma senza fare nulla, ovvero la parodia di coloro che non partecipano alla festa popolare.
La sera del Martedì Grasso, il Re muore e viene cremato, chiudendo ogni festeggiamento, ogni follia in maschera.
Il rituale tradizionale prevede che le regole, il potere e le convenzioni subiscano un’inversione ed è per questo che O’ Puccio viene bruciato.
Il pupazzo di cartapesta viene mandato al rogo durante la grande festa perché il Carnevale simboleggia proprio il passaggio rituale importante dalla notte dei tempi.
Nel tempo l’opera allegorica è stata realizzata da artisti locali; nell’edizione 2025 è stato eseguito dagli alunni del Liceo Artistico Midossi di Civita Castellana, diretti dai maestri cartapestai Massimiliano Meschini e Roberto Moscioli.